Quel pizzico di un ingrediente niente affatto segreto
Tutti i macchinari, i forni, l’impastatrice, la spezzatrice-impallinatrice sono lì in fila, ognuno al suo posto, e paiono guardarci con aria di sfida.
“E adesso?” chiede qualcuno come interpretando il momento.
“Adesso? Ora s’inizia a fare del pane!” esclama Pietro, fiducioso di poter applicare tanti anni di conoscenze maturate nelle industrie del settore in Italia. Il suo entusiasmo e sicurezza ci contagiano, e via di nuovo al lavoro.
Il primo passo è quello di provare delle ricette che producano impasti lavorabili e che incontrino i gusti dei consumatori in Etiopia.
“Per ottenere un buon risultato ci potrebbero volere giorni” ammonisce Pietro. Qualcuno pensa che voglia mettere le mani avanti, forse la sicurezza di prima sta vacillando, e nella sua mente iniziano ad accumularsi potenziali problemi e soprattutto le enormi differenze tra un lavoro artigianale fatto in Africa ed un approccio industriale con risorse e mezzi diversi. Ma ciò che conta sono i principi che poi devono essere applicati alle circostanze ed adattati al contesto. Così per qualche minuto rimaniamo tutti pensierosi, girando un po’ a vuoto, facendo cose inutili. Poi Pietro inizia a chiedere di portare contenitori di varie misure: bottiglie, taniche, bacinelle.
“Datemi un minuto” dice, e scrive la prima ricetta. In base a quella taglia i contenitori per far sì che i ragazzi a cui viene fatta la formazione possano misurare le quantità senza dover perdere tempo a pesare gli ingredienti di volta in volta. Quello che si dice tecnologie appropriate. E funziona, perché in poco i ragazzi che sino ad alcuni anni prima vivevano in strada e che ora si trovano catapultati dentro ad una panetteria iniziano a capire le regole del gioco. In quattro e quattr’otto ecco otto bacinelle di farina, due taniche d’acqua, mezze bottiglie tagliate riempite di lieviti, e bottigliette più piccole con sale, zucchero e olio. Ermias aggiunge gli ingredienti nel cestello dell’impastatrice seguendo i consigli di Pietro. In un quarto d’ora il primo impasto è pronto. Si valuta la consistenza, e dopo il via libera del formatore ecco che Marta prende le porzioni d’impasto preparate da Ermias e le stende sui piatti dell’impallinatrice come Pietro le mostra.
“È facile” dice Marta, ma poi si gira e vede Pietro che infila il piatto con l’impasto nel macchinario e aziona le varie leve. Sul suo viso si dipinge un’espressione di dubbio, si direbbe un po’ d’ansia. Poi però capisce che i movimenti da fare sono semplici ed intuitivi e dopo alcune prove pare che lo abbia fatto da sempre: pressare, contare i secondi in cui la macchina deve arrotondare, rilasciare la leva per permettere alle lame di liberarsi e via un bel taglio netto. Escono tante palline ognuna dello stesso peso e forma. Marta sorride soddisfatta.
Mentre le palline iniziano ad accumularsi, Demenech le prende una ad una, le posiziona con cura sui vassoi che aveva in precedenza spennellato d’olio e prepara il primo carrello. Pietro la guida e le fa capire che serve attenzione, sembra semplice, ma le palline d’impasto vanno trattate con cura e messe in righe e colonne per far sì che lo spazio lasciato sia uniforme e il numero dei panini costante. Una volta che il primo carrello è pronto, il formatore prende nota del tempo per le prove di lievitazione. Alla fine della giornata stabilirà per tentativi ed errori la procedura migliore, ma ora non è ancora tempo di questo, ma della soddisfazione per la prima infornata che tutti aspettiamo.
Pietro apostrofa Robel, il coordinatore della produzione “Allora cerchiamo di vedere un po’ i tuoi appunti. Ci vorranno almeno venti minuti prima che il pane sia cotto”.
Ci sono sgorbi, parole scribacchiate in fretta, appunti scritti metà in inglese e metà in amarico, ma pare che le cose essenziali ci siano tutte. Robel ha anche annotato con cura tutti i tempi, le indicazioni e i consigli che Pietro dava al gruppo di lavoro. Sarà lui a dover assistere i ragazzi che lavorano per far sì che continuino a produrre secondo il sistema stabilito.
“A te l’onore” gli dice Pietro, quasi spingendogli il carrello addosso. Robel inforna il primo carrello con circa duecento panini. Che piacere vederli dorarsi, e iniziare a sentirne il profumo: sa di pane, ma anche di quel pizzico di un ingrediente niente affatto segreto che alcuni chiamerebbero prendersi cura degli altri.
Quando il pane è cotto viene tirato fuori dal forno e siamo tutti lì che pendiamo dalle labbra di Pietro. Lo spezza, ci fa attendere ancora, giocando sulle pause come farebbe un attore consumato.
“Beh, non pare affatto male!”. Robel lo assaggia, non dice nulla, ma sul viso gli si dipinge un sorriso.