Come aprire una grande famiglia
Sembra ieri che scrivevamo uno dei nostri aggiornamenti “Un bastimento carico di…” dove ci rallegravamo che gli equipaggiamenti tecnici per aprire la panetteria dell’ONG Beteseb ad Hawassa fossero sulla nave, in attesa di arrivare. Oggi, invece, in un mondo scosso dalla pandemia, il container con le nuove strumentazioni aggiuntive è arrivato da mesi, ma non possiamo ancora rallegrarcene. Infatti, lo staff di Beteseb non è stato in grado di recarsi a Gibuti per espletare le pratiche per lo sdoganamento. E il container con dentro un abbattitore, un frigo, un freezer, un forno, una sfogliatrice, una planetaria, un microonde, un’impastatrice, una spezzatrice manuale e tutta una serie di piccoli, ma indispensabili minuterie, è bloccato. In questi giorni le cose si stanno muovendo, lentamente e a fatica, perché in Etiopia ad oggi sono 5175 i casi confermati di persone affette da Covid19, di cui 1544 sono state ricoverate e 81 sono decedute. Sono numeri ancora relativamente contenuti, ma sempre più alti di quelli di marzo. E nonostante l’incertezza (ce la faranno? Ci saranno degli ostacoli?) sapere che nei prossimi giorni si recheranno ad Addis Abeba e di lì a Gibuti per concludere la cosa ci fa capire quanta speranza sia riposta in quei macchinari, quanto importanti debbano essere per loro per pensare di andarseli a prendere mentre il Coronavirus non arretra. Nei mesi passati infatti, Beteseb ha raggiunto un accordo fantastico con la proprietà di un ristorante/albergo in uno dei luoghi più centrali di tutta Hawassa: 5 anni di locazione gratuita, perché la proprietaria crede nel loro progetto di fare un servizio di ristorazione inclusivo. Un polo per formare non solo nell’arte bianca, ma per estendere le attività alla pasticceria e alla ristorazione, così da poter impiegare più forza lavoro, presa tra quei beneficiari che prima Beteseb si “limitava” ad aiutare a ritornare alla normalità, dopo una vita di difficoltà e di stenti. Ora Beteseb crede che sia questa la strada: insegnargli non solo un mestiere, ma anche aprire la loro grande famiglia (ad oggi sono 100 ospiti!) all’esterno, facendo diventare quel ristorante un luogo di incontro, di rinascita, di discussione e di visibilità per ragazzi sino ad allora invisibili. Perché se ne parli, perché si vedano, perché nel giardino, tra famiglie che prendono il caffè, mangiano un dolce, mordono una pizzetta, quei ragazzi ritrovino la loro voce e un posto in quella che è la loro comunità e la loro vita.